Interconnessione e socialità del nuovo cinema digitale

Esiste (ancora) lo spettatore del cinema? Questa è la domanda, che ne sottende una ancora più radicale sul cinema stesso, che si pone il corposissimo testo di Mario Tirino, giovane studioso con già alle spalle una considerevole mole di studi e libri (tra cui segnaliamo un pregevolissimo lavoro dedicato a Flash Gordon). 

Gino Frezza, tra le voci più autorevoli nel campo della sociologia delle comunicazioni, non è esita a scrivere nella bella “Prefazione” che il libro «segna un punto di svolta nel dibattito contemporaneo sui media digitali e, in particolare, sullo stadio che interessa il cinema».

Il primo pregio dell’opera è di costituire la sintesi di almeno un trentennio di studi specialistici.

L’altro pregio è la scelta di un approccio inter e transdisciplinare che ben si addice ad un «oggetto ibrido» di per sé come il cinema, avvalendosi, dunque, non solo dei più raffinati strumenti sociologici ma anche di contributi filosofici, con un definitivo superamento dell’approccio semiotico.

Premessa forte: il cinema è caratterizzato ab initio da una continua ridefinizione della propria identità mostrando una “genetica” apertura al cambiamento. Frequenti, dunque, i mediashock (ad esempio, l’avvento del sonoro o la possibilità di riprodurre film a casa), il più traumatico dei quali è stato l’avvento del digitale, che ha accelerato il processo di “domestication”. 

Ora viviamo in una fase in cui alcuni studiosi preferiscono parlare, dunque, di “post-cinema”.   

Nel ricostruire magistralmente le vicissitudini del cinema, ed evitando le secche di uno sguardo “apocalittico” (in cui esso è semplice strumento di consenso) o, all’opposto, di un approccio “autoriale”, il libro valorizza il ruolo assiale dello spettatore “resistente”, soprattutto attraverso l’uso sapiente degli Audience Studies, che continuamente contribuisce con le sue strategie a ridefinire tanto il mondo della produzione del cinema tanto la dimensione tecnico-artistica: «lo spettatore è il vero cuore dell’azione sociale del cinema e garantisce, grazie al consumo e a diversificate forme di partecipazione, l’affermazione o il rifiuto delle tecnologie, oltre a indirizzare verso certe traiettorie piuttosto che altre la produzione espressiva dell’industria culturale». 

Il XXI secolo è sicuramente il passaggio d’epoca più rilevante, capace di modificare totalmente la dimensione della spettatorialità. Il libro diventa, dunque, un prezioso repertorio di trasformazioni nelle quali ancora siamo coinvolti: la fine delle sale cinematografiche “classiche”, la moltiplicazione degli schermi, lo streaming. Insomma, il passaggio dall’analogico al digitale costringe ad una ridefinizione radicale del cinema stesso.

Tirino fa propria la distinzione tra filmico e cinematico per spiegare questo transito. Da una parte, infatti, il filmico si dissolve in una categoria più ampia, il cinematico (in cui rientrano una molteplicità di manufatti video), dall’altra l’intera dimensione del cinematico riprende i suoi codici dal cinema. Parafrasando il poeta: il cinema conquistato conquistò i selvaggi conquistatori. Questo modifica drasticamente anche lo spettatore che diventa “iperspettatore”. Lo strumento euristico fondameentdale per Tirino è quello di “esperienza filmica”.

Il nuovo millennio produce un pubblico iperconnesso, che pratica hyper attention, capace di scegliere le modalità con cui fruire cinema: andando in sale che si stanno attrezzando ad essere appetibili offrendo un’esperienza unica piuttosto che rimanendo a casa, utilizzando una piattaforma o vedendo un file scaricato utilizzando il peer-to-peer, diventando «sempre più avvezze a consumi mobili, fluidi, pluripiattaforma».

Ancora una volta Tirino mostra come ci si trovi di fronte ad uno spettatore non solo molto consapevole ma anche intimamente relazionale. Contro la retorica nostalgica della fine del cinema come luogo di socializzazione, infatti, appare chiaramente che la nuova esperienza spettatoriale è “sociale” per eccellenza, costruendo vere e proprie comunità che utilizzano i social con una forte cultura partecipativa.

Lo spettatore del nuovo millennio è, ancor più di quello che lo precede, ansioso di prender parte all’esperienza di cui sta fruendo, e lo fa in moltissimi modi che lo rendono assolutamente attivo: egli modifica con i suoi atteggiamenti l’offerta, ma ancor di più manipola, grazie al digitale, i manufatti dell’industria, selezionando, migliorando in una vera e propria opera di “rimediazione”. 

La rete rende possibili comunità di appassionati che non solo interpretano ma producono artefatti (fansubber, fanvidder, fanartist), valorizzando la dimensione performativa della società contemporanea. In questo modo «i pubblici connessi hanno in mano strumenti potentissimi per concorrere alla costruzione collettiva dell’immaginario culturale», o, meglio, del “postimmaginario”. 

Ci troviamo di fronte a forme molteplici di “dissipazione”: il filmico si dissipa nel cinematico, l’attenzione si dissipa in un flusso di attività contemporanee, le location dell’evento filmico possono dissolversi nel contesto urbano. «Lo spettatore postcinematografico è parte dei pubblici iperconnessi, diffusi, estesi, creativi che spaziano – senza soluzione di continuità – attraverso molteplici spazi fisici, mediali, sociali e culturali del presente».

La spettatorialità postcinematografica è un’esperienza mediale complessa «che investe la totalità della relazione (cognitiva, affettiva, socializzante) tra lo spettatore e le immagini in movimento, filmiche e cinematiche, in una pluralità di momenti e gesti (scelta, eventuale acquisto, visione/consumo, discussione, commento, catalogazione, archiviazione, remix, e così via)».

Moltissimi gli spunti del libro: dall’indagine sulla “schermologia” al fallimento del 3D, fino alle nuove modalità di “ingaggio” del pubblico (come il singalong).

Di particolare interesse le pagine in cui Tirino mostra che la pirateria informatica, che contribuisce in maniera non marginale alla distribuzione post-cinematografica, non obbedisca essenzialmente a logiche economiche e che essa è parte «dei più vasti processi partecipativi di produzione e disseminazione della cultura contemporanea».

Il libro si chiude su quella che è una vera e propria streaming war in atto tra varie piattaforme (Netflix, Disney, HBO et cetera) «che sembrerebbe profilare una profonda ristrutturazione dell’ecologia della distribuzione digitale». In ogni caso, appare ancora decisivo il ruolo dello spettatore capace di ridefinire le offerte. Tutto questo, per altro, sta avendo benefici effetti sulla distribuzione indipendente (come è accaduto con la musica).

Per concludere, Mario Tirino mostra in maniera inequivocabile che il post-spettatore, con l’ampliamento delle tecnologie e degli ambiti da dominare, ha bisogno di una pluralità di media e digital leteracy

E, dunque, per quanto siano state parte integrante della nostra Bildung nessuna nostalgia per le vecchie sale cinematografiche, per il silenzio raccolto in cui fruivamo il film e poi ne parlavamo all’uscita. Domani è un altro giorno!

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Il disegno, come i precedenti che accompagnano i contributi di Nicola Sguera, è di Ferdinando Silvestri: laureato in fisica, ha capito da un pezzo che la sua strada è quella delle matite. Quando non disegna, divide la sua vita tra famiglia, karate e lettura.