Perché a rimetterci è sempre la scuola

È notizia di qualche giorno fa l’ordinanza n°714 firmata da Attilio Fontana che ha istituito la zona arancione rinforzata per la Lombardia a partire dalla mezzanotte del 4 Marzo

La differenza più evidente dalla zona arancione, in cui si trovava la Lombardia in precedenza, è la sospensione della didattica in presenza per le scuole di ogni ordine e grado, eccetto gli asili nido. 

Da mesi siamo abituati alla spada di Damocle settimanale dei vari DPCM e delle ordinanze regionali che impattano in modo consistente sulla nostra quotidianità.

Semplificando molto, la prassi è ormai consolidata. Le regioni inviano i dati all’Istituto Superiore di Sanità. Il quale, di venerdì, dopo aver monitorato la situazione servendosi di alcuni indicatori utili a rilevare l’andamento dell’epidemia, decide se le regioni debbano passare rispettivamente in zona rossa, arancione, gialla o bianca, a partire dal lunedì successivo. 

Da venerdì a lunedì. Due giorni per dare margine alle attività produttive, alle istituzioni e ai cittadini di riorganizzarsi secondo le nuove norme dettate dal colore della zona. 

In tal senso, ha destato quindi stupore la decisione della Regione Lombardia di adottare un’ordinanza che avesse effetto immediato (a partire dalla mezzanotte del giorno stesso in cui è stata emanata), con così breve preavviso.

Un’ordinanza che rivela come in Lombardia – e purtroppo nel resto d’Italia – la scuola sia un’istituzione sacrificabile da un giorno all’altro, senza rispetto per il lavoro del personale docente, dei collaboratori scolastici e, soprattutto, senza rispetto per bambini e ragazzi. 

“Avevo appena salutato i bambini e detto loro cosa avremmo fatto l’indomani” ci racconta Elena Clerici, insegnante di una scuola elementare di Milano, “sono dovuta tornare in classe a dire loro che dal giorno dopo ci saremmo visti a distanza e per un po’ dovevamo salutarci. Una delle mie alunne di seconda si è messa a piangere”. 

È lampante che la mossa di Fontana e Regione Lombardia sia stata giocare d’anticipo: istituire una zona arancione rinforzata il giovedì per scongiurare una possibile zona rossa imposta dall’ISS il venerdì.

Meno lampante è che a rimetterci, in questa circostanza, sia l’unica istituzione che non produce PIL. Aspetto che la rende facilmente sacrificabile per contenere il contagio. 

Di fatto, è l’apice di una politica da sempre volta a non investire nell’istruzione. Negli ultimi 10 anni sono mancati gli investimenti nell’edilizia scolastica, come rivela questo studio della fondazione Agnelli, nel personale docente – che ancora porta i segni della riforma Gelmini- e ora nel metodo educativo.

Perché la cosiddetta didattica a distanza, o didattica digitale integrata, come è stata ribattezzata, si è tradotta semplicemente nel traslare le lezioni in presenza in lezioni davanti a uno schermo, senza dare il tempo a dirigenti scolastici e insegnanti di approntare due approcci e due metodologie diverse per due setting agli antipodi – gruppo classe in presenza vs singolo a casa al computer.

Anche secondo l’indice OCSE -PISA l’Italia dimostra quanto è sotto gli occhi di tutti: l’insufficienza delle infrastrutture digitali per le lezioni online.

Più che una necessità contingente, chiudere la scuola in presenza da un giorno all’altro sembra un modo grossolano di sbarazzarsi di un peso.

Senza tener conto dell’enorme difficoltà che crea nell’organizzazione familiare ai genitori che lavorano e, in special modo, alle madri che in percentuale, pagano in misura maggiore lo scotto imposto da questa ordinanza. 

A rendere il boccone ancora più amaro, il fatto che, secondo il Post, Regione Lombardia abbia inviato nuovamente dei dati inesatti all’ISS. , restando in zona gialla una settimana in più. 

Con il risultato che forse, con i dati corretti, oggi le scuole sarebbero ancora aperte.