Stampelle: la UEFA dice si, la Serie A non sa

La massima organizzazione calcistica europea ha risposto alla nostra sollecitazione

Quanto dista l’Italia dall’Europa? Quanto è lontana la serie A dalle competizioni europee? Lo spazio di un paio di stampelle.

La UEFA, a cui abbiamo chiesto di esprimersi sul divieto di introduzione di stampelle in alcuni stadi italiani, in una mail indirizzata a Sonar magazine, scrive: «le nostre procedure operative standard considerano le stampelle e gli ausili per la deambulazione come attrezzature mediche e pertanto i tifosi che ne fanno uso possono entrare allo stadio».

E la lega Serie A? Boh

Se la UEFA ha degli standard ben chiari ed è pronta ad esprimerli, non altrettanto la Lega Serie A.
Richiesta già a gennaio di rappresentarci la propria posizione sull’argomento, ad oggi non sa cosa dire:

«nello specifico stiamo raccogliendo informazioni, ma ancora non so dire se, finita tale fase di analisi del tema, avremo una posizione».

L’ignavia diffusa

A Lecce, Milano, Napoli, Roma e Salerno, invece, i sindaci, le questure, le società calcistiche assimilano le stampelle alle armi e non fanno entrare i tifosi allo stadio.
E Ministero dell’Interno, Ministero della disabilità, FIGC non hanno nulla da obiettare.

Nello spazio di quelle stampelle che segnano il confine tra l’Italia e l’Europa si apre un abisso di civiltà di cui è parte anche l’ignavia delle istituzioni.

Accesso con stampelle? Dipende da chi organizza il match

La Uefa, nella nota inviataci, ha precisato di non avere giurisdizione sugli eventi estranei alla sua organizzazione. I suoi standard, rispettosi dell’individuo e inclusivi, non possano applicarsi agli eventi organizzati dalle società calcistiche o dalle federazioni nazionali.

Per le gare, invece, in cui è direttamente coinvolta, opera in collaborazione con le autorità locali per assicurare il rispetto delle proprie regole.

Un tifoso con le stampelle, dunque, sarebbe respinto ai cancelli del Meazza di Milano, del San Paolo di Napoli o dell’Olimpico di Roma (per la Lazio) per una partita di campionato come per una qualsiasi partita delle fasi a girone di Champions, Europa e Conference League .
Sarebbe, invece, ben accolto per i match della fase finale, organizzata dalla Uefa, delle stesse competizioni negli stessi stadi.

Un’assurdità resa possibile da una disciplina, quella italiana, renitente alla pratica del rispetto delle persone e dell’inclusione.

Non è azzardato affermare che l’Italia accetta e tollera l’esercizio della discriminazione da parte delle società calcistiche, al pari della violenza. Sentimenti di sportività e comportamenti di civiltà sono confinati nella narrazione dei dirigenti sportivi e dei politici.

A Milano e all’Inter la medaglia d’oro della vergogna

Del resto a Milano, che si dice la capitale morale del Paese, recentemente capi ultras dell’Iter hanno imposto il lutto per l’assassinio di un loro capo, pregiudicato, facendo sgombrare con minaccia di violenza i tifosi paganti di un intero settore dello stadio.

In quello stesso stadio, però, per le partite di quella stessa squadra, l’Inter, vengono affissi cartelli che raffigurano persone con stampelle barrate in rosso, per indicarne il divieto di accesso. Le stampelle, equipaggiamento sanitario degli individui, vengono bandite come armi improprie e con esse sventurati tifosi.

Milano e l’Inter meritano il primo posto nella speciale classifica dei peggiori esempi da stadio. La medaglia d’oro della vergogna. Portata col silenzio connivente del Sindaco, proprietario dello stadio, e della Questura.

Quanto è lontana l’Europa!