Genitori criminali al soldo di un alieno: scoperti dai figli!

Visibile in chiaro da qualche giorno su Rai 4, dopo il lancio in piattaforma (Disney +) della seconda serie, Marvel’s Runaways ha avuto in realtà in America una terza stagione, conclusasi nel dicembre 2019 e ancora inedita in Italia.

Grande è la confusione nel mondo Marvel televisivo, smembrato in ben cinque diverse piattaforme. Nei prossimi anni vedremo come alcuni personaggi tutt’altro che secondari, come Daredevil per citarne uno, entreranno nel MCU (Marvel Cinematic Universe).

Alcune allusioni nella terza serie, in particolare il biglietto in cui si cita Mancha, fanno ipotizzare che i Runaways potrebbero avere un ruolo nella cosiddetta “fase 4”.

I personaggi sono nati dalla fantasia di Brian K. Vaughan (testi) e Adrian Alphona (disegni); successivamente la serie venne scritta da Kathryn Immonen e disegnata dall’italiana Sara Pichelli.

È noto che tra resa per lo schermo (grande o piccolo) e fumetto c’è un rapporto assolutamente libero. Spesso l’originale su carta funziona da “pretesto” su cui gli showrunner (in questo caso Josh Schwartz e Stephanie Savage) responsabili della serie apportano modifiche spesso sostanziali.

Ma perché parlare di un prodotto di consumo dalle qualità non particolarmente eccelse (anche se a dire il vero la terza serie appare costruita e girata decisamente meglio delle prime due)? Ci troviamo di fronte ad una delle tante serie generate dall’esplosione delle piattaforme televisive, in questo caso dedicata al mondo degli adolescenti. Diciamo che, se volessimo fare paragoni, evocheremmo i B-movie degli anni Cinquanta. Eppure, come in quel caso, Runaways offre il destro per un’analisi della società americana, una sorta di “terapia” psicoanalitica fatta per immagini, capace di svelare il rimosso dell’inconscio a stelle e strisce.

Nella rilettura televisiva, i Runaways sono sei ragazzi di Los Angeles con differenziazioni “etniche” politically correct. Cresciuti forzosamente insieme per il legame dei lori genitori nel “Pride”, un ente apparentemente benefico, si sono poi persi di vista, anche a causa della morte misteriosa di una di loro. I ragazzi per caso scoprono che in realtà i loro genitori sono dei criminali che compiono veri e propri “sacrifici umani”. La vicenda introduce, dunque, misteriose presenze aliene e magiche (queste ultime diverranno centrali nella terza serie), mentre ciascuno dei protagonisti scopre di avere talenti o poteri speciali.

Le prime due serie mettono, dunque, in scena un atipico conflitto generazionale: figli, costretti, appunto, alla fuga, e padri che tentano in tutti i modi di ricondurli sotto il loro potere anche con metodi brutali.

In filigrana riconosciamo film come Star Wars (nella lotta di Nico, la “strega” seguace di Wicca, con il lato “oscuro” del suo potere), Essi vivono (nell’idea che alieni possano “guidare” scelte, anche economiche, dei terrestri), L’invasione degli ultracorpi e La cosa (nella “possessione” aliena di alcuni episodi), Ritorno al futuro (nell’ultimo episodio della terza serie). Alcune citazioni sono esplicite: il Deinonychus sintetizzato in laboratorio dai suoi genitori con cui Gert, una giovane e colta attivista, è in connessione psichica si chiama “Vecchi merletti” in onore del film di Capra. Non sono rare le allusioni “colte”, che in ogni caso denotano una certa ambizione della serie, il tentativo di sfuggire ai cliché del mero intrattenimento per adolescenti che fa indulgere a vicende amorose. Anche in questo caso, la centralità della relazione tra Karolina (ibrido umano-extraterrestre) e Nico, oltre a evocare la complementarità tra luce e tenebre, soprattutto in un Italia ancora poco avvezza a tali progressi, potrebbe apparire come un vero e proprio manifesto del lesbismo adolescenziale.

L’elemento di maggior interesse, a uno sguardo socio-politico, è il giudizio devastante che emerge sull’America. Il “Pride” è una ricchissima organizzazione benefica il cui vero scopo, però, è “nutrire” di vite umane un alieno da millenni imprecisati prigioniero sulla Terra, il quale vuole recuperare la sua navicella sepolta per poter ritornare sul suo pianeta. Ciascuno dei membri del “Pride” ha talenti particolari in ambito scientifico o imprenditoriale. In particolare, Leslie è la “sacerdotessa” di una Chiesa fondata da suo padre, che poi si scoprirà di matrice aliena. Ma anche in questo caso la serie televisiva, distanziandosi nettamente dall’originale fumettistico, ha di fatto messo in scena uno dei grandi enigmi americani, Scientology.

Insomma, se inforchiamo gli occhiali immaginati da Carpenter in Essi vivono, potremmo vedere dietro il capitalismo americano, anche nei suoi aspetti benefici, morte e corruzione; svelare l’arcano di sette che lucrano sulla credulità delle persone; scendere, insieme ai fuggitivi, nell’inferno degli homeless di Los Angeles.

Una serie televisiva mediocre, dunque, può lasciar emergere il rimosso inverando una terribile frase di David Cronenberg (canadese!): «L’America era già vecchia, sporca e malvagia prima dei coloni, prima degli Indiani. Il Male è lì che aspetta». Al di là delle apparenze, levigate, caritatevoli, sorridenti, vediamo mancanza di scrupoli morali nei protagonisti adulti che, nelle omissioni e nelle bugie, gradualmente alligna anche tra i ragazzi. Davvero l’America è figlia dell’alieno Jonah (sarà casuale per altro l’abbondanza di nomi biblici?).

Runaways avrebbe potuto essere il manifesto di una generazione che decide di rompere la maledizione dei padri, che scopre la radice criminale del proprio benessere, che sceglie consapevolmente un rifugio degradato (l’Hostel, struttura abbandonata nelle viscere delle colline hollywoodiane), una casa «umile ma onesta», che pratica la philia (amicizia), a differenza dei proprio padri che si uccidono tra loro, in maniera disinteressata senza mai lasciare nessuno indietro. Purtroppo, il lieto fine è sempre in agguato, non si può sputare nel piatto in cui si mangia e, dunque, tutto poi si normalizza: i peccati dei padri vengono espiati attraverso il sacrificio, nuovi nati convertono al bene i malvagi, il villain (Jonah e, poi, Morgana) vengono sconfitti da una union sacrée intergenerazionale.

I fuggitivi, alleatisi con i senzatetto, potevano fare la rivoluzione. Invece, preferiranno rilevare le aziende e le chiese dei padri e delle madri, grondanti del sangue di vittime innocenti.

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Il disegno, come i precedenti che accompagnano i contributi di Nicola Sguera, è di Ferdinando Silvestri: laureato in fisica, ha capito da un pezzo che la sua strada è quella delle matite. Quando non disegna, divide la sua vita tra famiglia, karate e lettura.