Nel mezzo del cammin di trista vita, il richiamo della ceralacca

Nel mezzo del cammin di trista vita mi ritrovai feudatario in La Wardia. Loco alto et inarrivabil qual nido di falco. Aspera et amara di periglio est la jornata et larga sont la horas prima che ritrovar possi lo giaciglio mio.

Lo molino, lo forno, lo magazzeo s’han da vegliar che alcun brigante s’azzardi olio, farina o pane ad arrubbare, e poi li rozzi villici locali ad agio abbisogna pe lo spasso tormantar et anghariare, terror incutere et spantare a fin che non possan ribbellion osare. Anco lo jus primae noctis s’ ha da excercitare et post la madida fatica de lo amplesso non se puote dormir nec fumare tampoco sed tosto est d’uopo nottetempo abbandonar l’alcova con salto yurichechico da buia finestrella per scampar d’iracondo cornuton tremenda la venganza.

A la fine de lo jorno, lo gagliardo destriero attende in l’obscura stalla da strigliare e col forcone cantando gaiamente s’ha da inforcar fieno et biada per lo nobbile animale. La nocte iunta ci si acconcia con lo fido scudiero al rude desco a desinar con boccia di vino vermiglio come lo sangue de lo inimico da tracannare ante a lo foco donde arroste ridente lo cinghiale che squartai…in impari pugna in la selva comunale, qual novello Sandokan beneventano, co lo spadone sguainato in mano…al fin di selfo potermi immortalare.

Ecco le immagini eroicamente leggiadre, intrise di nostalgia del terroir, degli amici nobil huomini del piccolo borgo antico ove fiorisce l’albero a cui tendevamo la pargoletta mano, per coglier fichi e altri frutti e poi andar in ilare brigata a rubare le figurine al tabaccaro.

Questa raffinata Madeleine viene inesorabilmente scatenata dall’acquisto – per me assolutamente compulsivo ed irresistibile – di bottiglie di vino col tappo sigillato in medieval ceralacca come già lo furon gli editti del nobil feudatario normanno.

La ceralacca è vera croce e delizia per l’enofilo, una dolce tortura quotidiana, un ultimo ostacolo che rende ancora più gradito il primo agognato sorso di vino, da sbriciolare gridando un salvifico “Per Aspera ad Astra” (no, la Opel non c’entra, cercate su google).

Bisogna tagliarla a rischio di lasciarci un dito, poi si spezza in mille atomi infinitesimali, si infila dappertutto in cucina e se non si presta attenzione si intrufola anche nel vino. Tuttavia è irresistibile – come il richiamo imperioso del Sommo Pontefice, che ci convoca per la Prima Crociata – che belle sensazioni quando apro una bottiglia ceralaccata: un’euforia che mi par di rotear nell’aere la #durlindana al grido di “Morte agli infedeli”.

Stavolta sono caduto sotto il fascino perverso di un vino spagnolo un Tempranillo vinificato dalla Bodega Terra Savia. Sul sito dell’azienda si legge: “un progetto vinicolo che nasce e si sviluppa nel cuore della Sierra Morena Sevillana, tra le città di Cazalla de la Sierra e Alanís. A 700 m di altitudine, in sintonia col paesaggio di montagne e pascoli, produce tutti i suoi vini in modo naturale.”

La lieve esitazione che avevo avuto al momento dell’acquisto – il prezzo non era proprio economico – è stata dissolta all’istante dalla parola magica “A N F O R A” in etichetta; un raffinato tocco medievalista che esalta viepiù la ceralacca. Decido di aprirlo alla luce delle fiaccole e dopo aver spezzato il sigillo con un colpo secco di #alabarda ho versato il liquido nel cranio del papà di Rosamunda (lo uso nelle grandi occasioni) ma, a dispetto dell’atmosfera, di rado ho bevuto un vino più piattamente insignificante: aromi olfattivi non pervenuti, colore anonimo, rosso papavero appassito, alcol basso, acidità assente, retrogusto spettrale.

Abbinamento: ottimo con un qualche goccia di pompelmo o con le peroche in giarra in estate. Ennesima falcidia al portafoglio. Va be’ non lo porterò con me a Gerusalemme, domani si parte vado a controllare la ferratura di Ronzinante II°…seguitatemi su Instagram #ammortelimaomettani.