La guerra al virus secondo Bolsonaro

Il presidente del Brasile Jair Bolsonaro sta facendo parlare di sé in ogni dove per il suo stupefacente approccio all’emergenza Covid. Il Washington Post, ad esempio, senza mezze misure, definisce la gestione dell’epidemia da parte del governo brasiliano come “la peggiore al mondo”. Una definizione che, pur sintetizzando egregiamente i disastrosi risultati sul fronte contenimento e sul fronte decessi del “Trump tropicale”, forse, non restituisce a dovere la complessiva irrazionalità politica dalla quale quei risultati dipendono.

Le terapie intensive sono sature da maggio e il paese più popoloso del Sudamerica, attenendoci alle sole rilevazioni ufficiali, ha già superato i 45.000 decessi e il milione di contagi, con una percentuale di positività pari quasi alla metà dei tamponi effettuati. Cifre mostruose a cui bisogna aggiungere un’ulteriore dato, da record planetario: in un’unica giornata (lo scorso venerdì) sono stati rilevati 55.209 nuovi positivi.

Nei cimiteri, vecchie salme vengono riesumate e spostate in appositi container per far spazio ai tantissimi morti recenti. E quando questo non basta si scavano fosse comuni. Gli indigeni dell’Amazzonia, in difficoltà nell’accedere alle cure, sono esposti al genocidio. Nelle favelas, incredibile ma vero, sono i narcotrafficanti a programmare e a disciplinare il lockdown. In sostanza, lo scenario è quello di una tragedia senza eguali nella storia brasiliana. Una tragedia bollata dalla comunicazione governativa come “fantasia mediatica” e gestita politicamente, nell’assoluta scelleratezza, con una costante oscillazione tra il negazionismo e lo stragismo fatalista, tra il modello Lukashenko, quello dell’influenzona sin troppo chiacchierata da curare con terapia a base di vodka e saune, e il modello Daenerys Targaryen stagione 8, esprimentesi in una compiaciuta passività al cospetto dello sterminio dei compatrioti.

In ottemperanza al modello L., Bolsonaro non si è limitato a sostenere che l’epidemia non esiste e che se esiste è innocua. Ha preferito invitare i brasiliani a constatare dal vivo, sollecitandoli a recarsi presso i reparti Covid delle strutture sanitarie. Le quali, già intasate e con il personale ridotto allo stremo delle forze, sono state prese d’assalto in men che non si dica da torme di curiosi. Suddivisibili in bolsonaristi ortodossi, alla ricerca del reparto “malattie immaginarie”, e bolsonaristi moderati, alla ricerca di pazienti reali incomprensibilmente ricoverati per una specie di infreddaturina cocciuta. Inutile sottolineare che per un’epidemia tra virgolette come quella da SarsCov2 il modello L. non prevede l’ausilio di una task force composta da epidemiologi e virologi esperti. Suggerendo, in alternativa, una catena di comando cortissima e un andare a braccio affidandosi ciecamente all’intuito gestionale di chi ha l’incarico di tutelare la salute pubblica.

In ottemperanza al modello D.T.s.8., invece, il “Trump tropicale” (chiamato “Messia” dai suoi fan più devoti) si è imbattuto in una serie di dichiarazioni e provvedimenti controversi sui quali, a differenza dell’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Santità ancora non si è pronunciata. Si va dal “mi spiace per le vittime, ma moriremo tutti prima o poi” al “i veri uomini non prendono il coronavirus”. Il tutto condito da costanti tentativi di occultamento e manipolazione dei dati sul contagio, dalle insistenti indicazioni terapeutiche, forse su pressioni lobbistiche, in merito all’utilizzo dell’idrossiclorochina (il cui uso d’emergenza è stato revocato dalla Fda americana a causa di potenziali effetti collaterali gravi), dalla rimozione di ben due ministri della sanità contrari a tali indicazioni e, in fine, dalla sostituzione degli stessi con un generale, Eduardo Pazuello, completamente a digiuno di medicina, peraltro decimo ministro del governo Bolsonaro preso in prestito dai quadri dell’esercito su un totale di ventidue: quando si dice “fare la guerra al virus”…

In conclusione, si può sostenere senza timore di smentita che quell’orrenda miscela di autoritarismo e neoliberismo in cui consiste il paradigma fascista sudamericano del quale Bolsonaro incarna tutti i crismi quasi scolasticamente è una delle cose peggiori che possano capitare a una comunità, specialmente quando c’è un’emergenza da gestire. Una preziosa lezione, l’ennesima, che tutte le democrazie dovrebbero imprimere a fuoco nel proprio patrimonio genetico per non rischiare, in futuro, di trasformarsi in democrature: la memoria immunitaria collettiva in grado di scongiurare simili derive illiberali, purtroppo, sembra ancora piuttosto breve.