Cosa propaganda Farmindustria quando parla di salute

“Non c’è niente di più profondo di ciò che appare in superficie”

Sovviene come un’epifania questa citazione di Hegel quando si legge l’articolo splendidamente dettagliato, su Gli Stati Generali, a firma di Valentina Saini. 

L’originale frase del filosofo è molto adatta a valorizzare questa intervista giornalistica in quanto il Dr Riccini, coadiuvato dalla Dr.ssa Saini, ha fatto davvero un egregio lavoro da osservatore nel riportare la realtà dell’industria farmaceutica italiana.

Un’osservazione di ciò che appare fenomenologicamente in superficie, frutto genuino dunque, per restare con Hegel, di una realtà profonda, del vero essere dell’industria della salute in Italia.

Nell’articolo citato non c’è spazio, giustamente, per speculazioni da parte della giornalista e del direttore del Centro studi di Farmindustria. Per coerenza filosofica con l’impianto del pezzo.

Si riportano il successo e l’abnegazione dell’industria farmaceutica nel rendere fruibile a tutti il lavoro di tante persone occupate nell’indotto, si sottolinea l’impegno nello sviluppo di un vaccino per il coronavirus, si cita l’intesa con Aifa e via discorrendo con un uso accattivante di numerosi termini inglesi.

Nessun contrappunto, nessun intervento vivace, ma una piatta melodia orchestrata amabilmente per diffondere le varie conquiste e ambizioni dell’industria del farmaco.

Un’occasione sprecata però, avendo potuto essere questa ospitata a Farmindustria su Gli Stati Generali un modo per acculturare gli utenti riguardo il significato degli acronimi, alquanto criptici per i non addetti ai lavori, e per spiegare alla platea dei lettori medi (così frementi di leggere le news dalle alte sfere) di cosa davvero si occupa il Centro studi di Farmindustria e cosa fa il Dr Riccini.

Ma tant’è, ci accontentiamo di quanto ci si è voluto illustrare e li ringraziamo per averci informato sulla fornitura gratuita dei farmaci per gli studi clinici, delle donazioni di strumentazioni e di gel disinfettanti e della grande preparazione delle risorse umane in Italia. Un quadro rassicurante di squadre operose che fanno sistema. Nessun problema degno di nota, ma uno spirito del “si può dare di più”.

Ma cosa hanno bisogno di conoscere davvero i lettori di un giornale e i malati quando si parla di medicinali prima che di imprese?

Cominciamo, per esempio, con il modo in cui vengono propagandati i farmaci ai medici e poi proposti scrupolosamente ai pazienti: gli unici canali di comunicazione previsti sono quelli offerti dall’industria farmaceutica, per nulla mediati da agenzie governative quali l’Aifa o il Ministero della Salute. Un percorso più snello e scevro da burocrazia non si può davvero desiderare da parte delle industrie farmaceutiche.

Quando un nuovo medicinale viene approvato si potrebbe invece auspicare che le informazioni da veicolare siano obiettive o, almeno, non di parte, magari, condivise in riunioni pubbliche tra informatori, medici e pazienti. Non siamo qui a fare da controcoro all’articolo citato, ma sono troppi i proclami che vanno demistificati a proposito dei “nuovi farmaci”, del disease mongering e degli studi clinici che si limitano ad accertare la non-inferiorità di una medicina rispetto a farmaci noti. 

Pharmabiz sembra essere oggi il termine più appropriato a significare che non c’è farmaco se non c’è business.

Inopportuno, quindi, fare un panegirico se si pensa, per esempio, alla tendenza ad accaparrarsi la classificazione di “farmaco orfano” solo per gli incentivi che le aziende ottengono.

Per chi non lo sapesse, anche un farmaco può nascere o diventare orfano quando l’incidenza della malattia rara è così bassa da non implicare ricavi per le aziende farmaceutiche: il medicinale per la cura dei pazienti o per la diagnosi viene abbandonato, viene reso orfano, apparentemente, senza tanto rammarico.

Una destino alquanto crudele e parecchio lontano dalla pompa magna che ci è stata in generale proposta dai dirigenti sui vari canali di informazione, convenzionali o inediti che siano. 

Ancora più sconcertante è che il Pharmabiz sfrutta lo status di farmaco orfano per ottenere dei benefit quando, in realtà, l’incidenza della malattia non è propriamente bassa e, in più, il medicinale non ha un’unica indicazione terapeutica: un sapiente doppio gioco utile per ottenere rapide autorizzazioni per i pochi pazienti necessari al trial e per imporre prezzi esorbitanti.

In sostanza, quando si parla di industria farmaceutica sarebbe sempre buona norma ricordare che i fruitori finali siamo noi cittadini. Consumatori, si spera consapevoli, il cui interesse principale è la salute della collettività, che viene prima della salute delle imprese.

Di fronte a un cluster di elogi e padovanelle sulla buona salute del farmaceutico ci si dovrebbe invece avocare la salute dei malati come vero baricentro nel teatro del fare sistema in Italia.