Quanto inciderà l’onda epidemica sulle elezioni americane?


L’onda epidemica ha travolto gli equilibri della politica Usa che, certo, non vanta trascorsi dagli esiti prevedibili. Ma negli Stati Uniti, ora, al netto di una crisi che ha sparigliato le carte in tutti i settori della vita d’oltreoceano, le incertezze sono molte e si acuiscono se guardate in prospettiva delle prossime elezioni presidenziali.

Gli avvenimenti degli ultimi mesi – tutt’altro che ininfluenti rispetto all’esito dell’appuntamento elettorale del 3 novembre – hanno trovato solo uno spunto nel tracollo economico conseguente al lockdown, perlopiù sono il risultato di tensioni mai sopite e rivendicazioni irrisolte con cui ora la politica americana deve fare i conti: il razzismo, i populismi, l’ideologia suprematista e le varie distorsioni storiche che consegnano agli americani una lettura parziale degli eventi del passato.

Ma partiamo dall’epidemia di coronavirus. Stando alla lettura che gli scienziati danno agli ultimi dati relativi alla curva epidemica, nel Paese a breve ci sarà un nuovo e significativo incremento di morti da covid-19, principalmente negli stati meridionali e occidentali, che però sarà più contenuto rispetto a marzo e aprile. Secondo un’analisi dell’Associated Press, a partire dai dati della Johns Hopkins University, la media settimanale dei decessi giornalieri segnalati negli Stati Uniti è aumentata da 578 di due settimane fa a 664 il 10 luglio, ancora ben al di sotto dei picchi di aprile. I decessi giornalieri segnalati sono aumentati in 27 stati nello stesso arco di tempo, ma nella maggior parte di questi la media è inferiore a 15 decessi al giorno. Un gruppo più piccolo di stati è quello che guida l’aumento nazionale delle morti. La California registra una media di 91 morti al giorno, seguita dal Texas con 66. Aumenti significativi anche in Florida, Arizona, Illinois, New Jersey e Carolina del Sud.

Gli studiosi prevedono che il numero dei decessi continuerà a salire per diverse settimane, anche se – si diceva – non in modo così drammatico come a marzo e aprile, per una serie di motivi. In primo luogo, all’inizio della pandemia i test erano estremamente limitati e non si aveva contezza del livello di esposizione al contagio di certi luoghi, come i trasporti pubblici, le case di cura o altri siti di grande affluenza. Ora i test sono aumentati e con essi la capacità di tracciare il contagio. In secondo luogo, molte persone hanno modificato il proprio comportamento e l’utilizzo della mascherina è diventato molto più comune, soprattutto nei luoghi affollati. E sebbene non esista ancora un vaccino, migliora il trattamento dei pazienti negli ospedali. Un altro fattore da tener presente è che il virus colpisce le fasce più vulnerabili della popolazione, come gli anziani o le persone già affette da altre patologie, ed essendo in circolo da alcuni mesi, questa fascia di popolazione è stata già, in buona parte, drammaticamente colpita, con tutti gli effetti del caso. 

Alla chiarezza dei dati che preannunciano scenari non del tutto positivi nel breve termine, corrisponde la consapevolezza che l’uscita dell’emergenza richiederà uno sforzo collettivo senza precedenti, cognizione che ora sembra essere arrivata anche alla Casa Bianca. Sabato, il presidente Donald Trump ha indossato una mascherina in pubblico per la prima volta dall’inizio della pandemia. E’ accaduto mentre stava visitando l’ospedale militare Walter Reed nella periferia di Washington. Un cambio di copione arrivato proprio quando gli Stati Uniti hanno registrato un nuovo record giornaliero: 66.528 casi in sole 24 ore. Ma la conversione all’uso del dispositivo di sicurezza era stata già annunciata dalla sortita di Trump a Fox News a cui aveva dichiarato che la mascherina gli donava, paragonandosi al Cavaliere solitario (che però la mascherina la portava sugli occhi…).

Dunque, anche il presidente ora abbandona i toni populistici della prima ondata dell’epidemia e si adegua alle regole, consapevole del fatto che la sua vittoria alle elezioni presidenziali è legata a doppio filo al superamento dell’emergenza.

Se la politica seguisse una linea retta, Trump a questo punto della sua campagna elettorale starebbe cavalcando unicamente i temi economici, sperando in un trionfo, ma l’epidemia ha imposto un drastico ripensamento dei temi della campagna, da sempre agganciati al mito dell’eccezionalissimo americano – ora, pure questo, compromesso da una crisi che ha accelerato il declino del Paese sul piano geopolitico mondiale. 

A contendersi la nuova visione del futuro della più potente democrazia dell’Occidente sono due candidati dalle visioni opposte, a partire dai temi economici, quelli verso cui l’elettorato americano è più sensibile

Joe Biden ha recentemente lanciato la sua campagna ‘Buy Americano’ con cui chiede di aumentare di 400 miliardi di dollari nel corso di quattro anni gli acquisti governativi di beni e servizi dalle aziende con sede negli Stati Uniti; mentre è di 300 miliardi di dollari la cifra che Biden punta a investire in nuove ricerche e sviluppo, da destinare quindi ad aziende del comparto tech statunitense. Un piano che secondo il candidato creerà 5 milioni di buoni posti di lavoro.

Trump invece punta a rivendicare le performance economiche del Paese. A giugno gli Usa hanno raggiunto un nuovo record nei posti di lavoro: +4,8 milioni, con il tasso di disoccupazione che si attesta all’11,1%. Si è trattato dell’aumento mensile maggiore della storia Usa, che ha fatto esultare il presidente: «L’economia torna a ruggire e il 2021 sarà un anno storico». L’economia Usa, tuttavia, è ancora molto distante da un ritorno alla normalità e l’aumento dei casi di coronavirus paventano nuovi lockdown che inficeranno sulla produttività del sistema. 

Se ad agevolare il tycoon potrebbero essere i dati economici, senz’altro la gestione dell’epidemia gli gioca contro. Nei fatti il governo federale si è sottratto alle sue responsabilità, non assumendo alcuna decisione a livello nazionale, se non quella di supportare lo sviluppo del vaccino. Trump si è limitato a un rimpallo di responsabilità (cambiando il capro espiatorio di turno) e a spingere per un ripristino delle attività. 

L’ultima parola sull’esito delle elezioni non è ancora detta. Biden ora è in vantaggio nei sondaggi ma la chiave per la vittoria – com’è noto – sono i voti del collegio elettorale, non la maggioranza popolare. E vincere negli stati decisivi conta più che avere un più ampio consenso tra i cittadini. Una singolarità che da sempre caratterizza il voto americano e che anche questa volta, come nel 2016, potrebbe determinare esiti inaspettati.