L’America di Trump tra isolazionismo e deglobalizzazione


L’epidemia di coronavirus ha bussato alle porte della Casa Bianca e ora che Donald Trump, il presidente in carica e in corsa per il secondo mandato, ha contratto l’infezione, tutto può ancora cambiare in vista del voto del 3 novembre. L’epidemia da Covid è stata al centro della campagna elettorale per le presidenziali in diversi modi, uno di questi riguarda il consolidamento di alcune tendenze della politica estera americana, come il progressivo disimpegno nell’esercizio della leadership sul piano mondiale e il conseguente isolazionismo. 

Delle relazioni internazionali Usa durante l’amministrazione Trump e dei possibili scenari futuri, ne parliamo oggi con la politologa Mildred Elizabeth Sanders, docente presso la Cornell University.

Esclusa l’uccisione del generale Soleimani che ha fatto temere una rappresaglia bellica, Trump è stato il primo presidente Usa, in 30 anni, a non ingaggiare guerre, rientrava in una strategia o è stato un caso?

Trump si è opposto al cambio di regime militarizzato. Certamente, è raro sentire una difesa delle politiche del presidente tra gli accademici, ma quello che dici è vero: ha compiuto meno mosse militari e nessuna nuova conquista o intervento importante e duraturo all’estero. A partire dalla seconda guerra mondiale il militarismo dei presidenti degli Stati Uniti è stato incessante. Ci fu l’attacco atomico di Truman in Giappone, i cambiamenti di regime di Eisenhower in Iran e Guatemala, la Baia dei Porci di Kennedy e la guerra del Vietnam, le lunghe guerre di GW Bush in Afghanistan e Iraq (non ancora finite); la partecipazione di Obama (il progetto di Hillary Clinton) al disastroso cambio di regime in Libia, l’ondata di campagne militari statunitensi in Afghanistan, il sostegno a un colpo di stato militare contro un regime democratico eletto in Honduras e il sostegno alla disastrosa guerra saudita in Yemen. Quindi rispetto ai predecessori sì, Trump è stato più pacifico. Sfortunatamente, la sua personalità, radicata in un difetto mentale molto tempo fa analizzato dalla neofreudiana Karen Horney e dal politologo James David Barber (e fortemente sostenuto dal recente libro della nipote di Trump) gli ha impedito di sostenere il processo decisionale collettivo attraverso la diplomazia e una forte cooperazione con il Congresso. Ogni cosa riguarda solo ed esclusivamente lui, è un atteggiamento difensivo e unilaterale. Ma sì, nonostante i grandi costi dell’opinione pubblica internazionale legati ai suoi metodi e alle sue affermazioni, Trump è stato molto meno pericoloso per il mondo rispetto ai precedenti presidenti degli Stati Uniti, che hanno fatto deragliare le democrazie e avviato guerre che hanno ucciso milioni di persone. Si può sperare che il sostegno che ha conseguito a livello nazionale per essere rimasto fuori da conflitti esteri a lungo termine, eccessivamente ambiziosi, faccia sì che anche i presidenti successivi proseguano sulla stessa linea (come sulle politiche commerciali meno globaliste e più vantaggiose a livello nazionale) .

L’epidemia ha segnato un cambio di passo nella politica americana. Le relazioni con la Cina si sono ulteriormente deteriorate e Trump ha cancellato il contributo degli Stati Uniti all’Organizzazione mondiale della Sanità. L’impressione è che gli Usa stiano rinunciando a esercitare la propria leadership globale, cosa ne pensa al riguardo?

Gli effetti di questa pandemia mortale e distruttiva probabilmente spingeranno molti paesi a diventare meno favorevoli alla globalizzazione, ai confini aperti e alla monopolizzazione delle catene di approvvigionamento da parte della Cina. Se Trump avesse avuto una personalità molto diversa e la disponibilità a lavorare con gli altri, tutto ciò sarebbe potuto andare bene per lui e per il Paese. Per quanto riguarda l’OMS, ha chiaramente deluso il mondo sul coronavirus, e quindi merita critiche.

Ora che Trump e la first lady sono risultati positivi al coronavirus, cambierà l’atteggiamento del presidente?

Dovrebbe essere così! Se tutto filerà liscio, immagino che non cambierà molto. Ma Il Covid ha fatto cambiare idea persino a Johnson nel Regno Unito. Trump però crede che cambiare idea sia una forma di debolezza, è come arrendersi ai propri nemici.

Come cambierà la politica estera in un eventuale secondo mandato di Trump o in un mandato targato Biden?

A prescindere da chi vincerà le prossime elezioni, io immaginerei il futuro presidente americano chiedere una leadership più competente come condizione per un rientro nell’Oms. Per quanto riguarda la possibilità che Trump, una volta rieletto, possa supportare una diplomazia reale e lavorare fianco a fianco agli alleati, non ci scommetterei. Come lui stesso ha sostenuto, “le personalità non cambiano”.