Le tv americane censurano il discorso di Trump in diretta

Donald Trump non accetta che il suo mandato presidenziale si sia rivelato meno longevo di una discreta sitcom. Non accetta la sconfitta elettorale. Anzi, non l’ha mai presa neanche in considerazione. “Ho vinto. Se contano i voti legali, vinco facilmente” dichiara spavaldo. Affidando la sua vittoria, a spoglio in corso, a un ciclopico “se”. Date le circostanze, da periodo ipotetico dell’indecenza, del quarto tipo.

Di norma, infatti, non esiste al mondo meccanismo democratico in grado di contemplare il conteggio di voti illegali. A meno che tale meccanismo non sia strutturalmente compromesso: opzione, però, non percorribile quando i comitati preposti al controllo annunciano, in blocco, la totale assenza di violazioni e di irregolarità.

Trump, dunque, parla di frode, parla di brogli, mina la credibilità dell’intero sistema politico che tuttora rappresenta, senza avere in mano la benché minima prova a sostegno delle sue gravi accuse. Una presa di posizione ridicola, o “patetica” (come l’ha definita la CNN in diretta), se non fosse tragica. Una presa di posizione, tutto sommato, nemmeno così sconcertante, e qui la tragicità si eleva al cubo. Per il tycoon le fandonie sono parte essenziale del come si comunica “al popolo”, sono da sempre il suo principale asset. E una linea comunicativa vincente non ha ragione di essere rettificata.

Trump funziona, e avrebbe funzionato ancora se non ci fosse stata di mezzo l’emergenza sanitaria, non malgrado sia, per dirla col New York Times, un “bugiardo patologico”, ma proprio perché lo è. Trump funziona perché, mentendogli con sistematica spudoratezza, consente al suo elettorato di mentire a se stesso. Consente al suo elettorato il lusso anacronistico del sogno americano, delle sue radici, della sua dissonanza cognitiva. Un mix di estremismo religioso, industria pesante, estrattivismo forsennato, luccichio pubblicitario, misoginia e delirio di grandezza.

Trump funziona perché incarna lo spirito non infantile, bensì adolescenziale, per dirla con DWF, della nazione americana, perché di quest’ultima incarna l’ambivalente desiderio di “struttura autoritaria e fine dell’egemonia genitoriale”. Lui è l’establishment che si rivolta contro l’establishment. Lui è il presidente che, con piglio tirannico inedito per la carica che ricopre e in barba a ogni galateo istituzionale, si oppone al deep state, al presunto complotto autoritario annidatosi tra le percentuali favorevoli a Biden. Lui è il potere, nella sua massima espressione, che si vende in rivolta presso se stesso, ristorando così il senso di impotenza della working class americana di cui riesce a farsi interprete per assenza di competitor: non solo senza invocare una rottura del binomio sviluppismo-progressismo (figura archetipale dell’inconscio yankee ), ma addirittura invocandone l’esasperata conservazione, a qualsiasi costo.

A tutto ciò, a questa specie di congegno diabolico costruito sulla menzogna sistematica e sull’autoinganno collettivo, una buona quota dell’informazione televisiva statunitense (ABC, CBS e NBC) ha deciso di staccare la spina: “Interrompiamo il discorso del presidente perché ciò che sta dicendo, in larga parte, è assolutamente falso”.

La CNN, anziché tagliare di netto le trasmissioni, ha preferito invece smontare le fake news trumpiane in tempo reale affidandosi a un fact checking istantaneo e informando i propri telespettatori su quanto stesse accadendo: “Non abbiamo evidenza di voti illegali e non siamo a conoscenza della vittoria di Trump”.

Scelte epocali (faranno scuola?), senza precedenti. Effettuate da un potere, il quarto, che negli Stati Uniti si sente tale. Un potere che, dinanzi alla prospettiva di ridursi a mera cassa di risonanza di un lungo esperimento democratico ormai sull’orlo del baratro, ha deciso, con coraggio, di ripristinare equilibrio e igiene nella discussione pubblica, laddove un’instancabile ipnosi propagandistica tentava, per l’ennesima volta, di imporsi come modello egemone definitivo, di alterare la storia a proprio vantaggio. Un quarto potere che ha deciso, inseguendo la sua stessa ragion d’essere, di mediare, di bilanciare. Di non accettare la menzogna come destino politico. Di censurare l’osceno: perché non è definibile altrimenti un presidente che apertis verbis cerca di raggirare la propria nazione appena espressasi nelle urne allo scopo di preservare la propria carica.